Caffè Meletti: un gioiello ascolano e non solo
Ha accolto i più noti esponenti della politica, da Re Vittorio Emanuele III a Gorbaciov, intellettuali come Sartre, letterati come Trilussa, pittori e musicisti. Il suo salotto liberty si è prestato al cinema, divenendo set anche per l’attore rivelazione di Mike Nichols, Dustin Hoffman. Raduno per i notabili della città (il Sodalizio, Senato), organicamente inserito nel tessuto urbano nonostante i secoli che lo separano dagli elementi strutturali contigui. Simbolo di cultura, eleganza e raffinatezza architettonica, il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ne ha riconosciuto il valore storico ed artistico nel 1981. Stiamo parlando del Caffè Meletti di Ascoli Piceno, uno dei 150 caffè storici d’Italia, una perla del nostro Paese che merita di essere valorizzata per la bellezza non soltanto della sua struttura e degli arredi (indiscutibile) ma anche per l’esempio umano del suo fondatore, Silvio Meletti.
Situato in Piazza del Popolo, a sinistra del Palazzo dei Capitani, il Caffè Meletti è stato costruito nel 1882-1884 nell’area dei demoliti stabili Picchetto della Dogana e Bettolino. L’edificio fu sede degli uffici della Posta e del Telegrafo fino al 1904, come ricordano gli affreschi del sottoportico dello scenografo teatrale Picca. Silvio Meletti rilevò l’immobile nel 1905, vi fece costruire un piano soprelevato con terrazzo e nel 1907 inaugurò al pian terreno il suo Caffè. La facciata neoclassica del Meletti presenta finestre in stile rinascimentale, in armonia con quelle degli edifici circostanti. Altro elemento di continuità, il portico a cinque arcate al pian terreno che riprende il ritmo del loggiato a 59 archi caratterizzante Piazza del Popolo. La tinta rosa antico del Caffè, lo pone in risalto rispetto agli stabili in travertino. L’interno è in stile liberty, illuminato da specchi a parete allestito con arredi lignei, tavoli rotondi in marmo di Carrara e ghisa, divanetti in velluto verde e sedie viennesi. Sul soffitto, i putti tra rami di anice del pittore Nardini, inno all’Anisetta Meletti. Trattasi di un liquore, ora tipico, frutto della creatività di «un uomo non colto ma geniale, intraprendente e operoso, Silvio Meletti». E geniale lo era davvero: da un lato, si fece assumere come rappresentante della ditta torinese di dolciumi, Venchi, per venire a contatto con potenziali clienti; dall’altro, si accordò con amici e personale di locali da conquistare per far assaggiare il suo liquore nei caffè italiani. Inevitabile la scelta dell’acquisto dei titolari di fronte a tanta domanda di prodotto. Silvio Meletti, imprenditore, era anche esempio di umanità: «quante volte – ricordano i vecchi dipendenti – sor Silvio, con un semplice cenno dava ordine di non far pagare i clienti meno abbienti!”.
(Anna Serafini- LumsaNews)
Lascia un commento