Ecco cosa succede se l’abitudine sostituisce il gusto
Scriveva Ennio Flaiano in uno dei suoi diari: “ora che sta arrivando l’estate salta agli occhi che questa non è più una strada, ma una spiaggia. I caffè che straripano sui marciapiedi hanno ognuno un tipo diverso di ombrellone per i loro tavoli, come gli stabilimenti balneari di Ostia: e non sono ombrelloni da strada, ma da festa galante”. Il luogo era Via Veneto, il periodo gli anni ’60 del boom economico. Da allora è trascorso quasi mezzo secolo e passeggiando per le vie del centro di Roma, il giudizio non sarebbe di certo migliore. Quelli che a Flaiano sembravano arredi “da festa galante” oggi sono tendoni da trattoria. Anche chi prova a distinguersi, magari scegliendo colori più sobri o un design più accattivante, finisce per scadere nella prassi balneare del “ragazzo” che a metà mattinata o verso sera apre “l’ombrellone”. Eppure, a sentire i commercianti: “A Roma sono decenni che si usano [gli ombrelloni, ndr], i cittadini sono abituati, sono nelle foto-ricordo o nei film in bianco e nero e ai turisti sembra qualcosa di caratteristico”. Stupito da cotanta sicurezza nel difendere quello che comunque resta un telo su quattro bracci, osservo meglio lo scorcio delle vie e, continuando sovrappensiero entro in piazza Navona. I due lati maggiori della piazza che ospita i capolavori del Bernini e di Borromini sono occupati lungo tutta la superficie da gazebo spesso chiusi con tendoni di plastica per riparare gli avventori e riscaldati dai cosiddetti “funghi” o da quegli aggeggi che simulano una fiamma ardente emanando luce fucsia. Nonostante la convinzione del ristoratore di prima non demordo: questi dehors (il francese dà sempre un tono e ai commercianti piace perché fa tendenza) sono veramente brutti. Interrogando qualche abitante del centro cerco un riscontro e alla domanda “ma a lei piacciono?” la maggior parte delle risposte sono incerte: il problema estetico non sembra essere così importante e alla fine è la “forza dell’abitudine a sostituire il decoro urbano. Già, perché proprio di questo si tratta, di decoro urbano. Se un ardito ristoratore francese provasse ad aprire un bel dehor (qui è legittimo) in rue de Mouffetard o vicino place du Tertre ci sarebbe una sollevazione generale, prima dei cittadini del quartiere e poi delle istituzioni; e così gli ombrelloni sarebbero rispediti verso le spiagge della Normandia e della Bretagna. E allora non si capisce perché a Roma non sia così: forse che la capitale italiana non abbia un patrimonio artistico e architettonico da valorizzare e proteggere dall’incuria? O, piuttosto, gli abitanti non sono per niente sensibili al luogo in cui vivono? Probabilmente, senza addentrarsi troppo in analisi sistemiche, il decoro urbano non è considerato come dirimente nella gestione della Città Eterna, anzi, come spavaldo afferma un altro ristoratore: “Mò non è che perché ce sta un palazzo de dumila anni noi nun dovemo lavorà”. E alle mie rimostranze risponde con uno sguardo che significa: “beato te che non altro a cui pensare”.
Sabato Angieri
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