La musica di oggi, quando l’arroganza vince sulla bellezza
Il 20 marzo scorso, sul sito di Arcipelago Milano, un bel settimanale di politica e cultura diretto da Luca Beltrami Gadola, è comparso un interessante ‘articolo di Paolo Viola sulla musica colta contemporanea che prende spunto da un altro pezzo molto linkato su Internet di Gian Antonio Stella, intitolato “Abbiamo perduto l’idea di bellezza” e già commentato nel nostro Bloc Notes.
Nell’articolo Gian Antonio Stella citava un più volte reiterato suggerimento di Salvatore Settis: «Guardatevi intorno e cercate con gli occhi, ovunque siate, gli edifici che hanno più di mezzo secolo: è difficile trovarne uno davvero brutto. Poi fate il contrario: cercate con gli occhi, ovunque siate, gli edifici che hanno meno di una cinquantina di anni: è difficile trovarne uno davvero bello».
Ebbene – scrive Paolo Viola – credo che la stessa cosa si possa dire per la musica “colta”, sostituendo alla cinquantina d’anni dell’architettura gli ottanta – novanta della musica: ascoltate una musica scritta prima della prima guerra mondiale e una scritta dopo la seconda e – con le dovute ma rare eccezioni – farete le stesse identiche considerazioni (più incerto sarà il giudizio sulla musica scritta fra le due guerre). Dalla metà del secolo scorso a oggi, un periodo che abbraccia ormai un paio di generazioni, la musica contemporanea non ha raggiunto quasi mai il cuore degli ascoltatori, o almeno quello della loro stragrande maggioranza”.
Secondo Paolo Viola bisognerebbe a questo punto trarne delle conseguenze, esprimere qualche assennato giudizio sulla musica che è stata prodotta da allora – e che si produce tutt’ora – così come si è fatto e si fa per l’architettura. Invece no – osserva acutamente i commentatore, secondo il quale è paradossale che mentre la discussione intorno all’architettura verte sostanzialmente sugli architetti, i giudizi relativi alla musica d’oggi non vertono sugli autori ma esclusivamente sugli ascoltatori. I quali “non capiscono”, “non sono preparati”, sono praticamente ottusi. E la cosa paradossale è che gli stessi ascoltatori anziché dire “non mi piace, non è bella, non è interessante” dicono quasi sempre “non me ne intendo abbastanza, non sono adeguatamente preparato, non la capisco”, salvo applaudire comunque e con generosità per … non apparir da meno.
“Ma perché – si chiede Viola – il valore di un romanzo è dato dal numero dei suoi lettori, quello dell’arte figurativa dal prezzo delle opere, quello degli spettacoli teatrali e cinematografici dal botteghino che li premia o li punisce, mentre – così come l’architettura è imposta al cittadino che dovrà sorbirsela tutta la vita – la musica contemporanea viene dispensata a tradimento, infilata tra autori amati e apprezzati, come una gabella da pagare a una presupposta cultura con la C maiuscola?”
Paolo Viola spiega di aver scritto il suo post subito dopo aver spento, innervosito, il televisore. Su “Classica” – il canale 728 di Sky – veniva intervistato il sessantacinquenne compositore palermitano Salvatore Sciarrino che “spiegava” come il pubblico non capisca le sue opere perché mentalmente pigro. Proprio così. D’altronde se andate su Wikipedia a leggere la biografia di Sciarrino troverete che “ciò che caratterizza la sua musica è la volontà di indurre il fruitore a un diverso modo di ascoltare e a una nuova presa di coscienza della realtà e di sé”.
“Non ignoriamo – conclude Viola – le difficoltà obiettive che le arti contemporanee incontrano sempre – o quasi sempre – a farsi comprendere e amare dal pubblico, ma forse una ragione non secondaria per cui la musica di oggi non ci piace è l’arroganza con la quale viene proposta da autori che si considerano insegnanti o menti superiori con il compito di acculturarci. I veri musicisti, quelli che – come diceva Hegel – scrivono musiche che “elevano l’anima al di sopra di se stessa” e non si perdono nei noiosi meandri tecnici del linguaggio, sanno comunicare perfettamente con noi, con naturalezza e semplicità, senza paranoie; soprattutto non ci fanno sentire inadeguati e non ci costringono a compiere inutili sforzi per cercare di capirli”.
Francesca Marcone
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