Legge di stabilità, Venezia e il Rapporto Federculture 2012
Ieri pomeriggio a Venezia il Presidente Roberto Grossi di Federculture, la Federazione servizi pubblici, cultura, sport e tempo libero, ha illustrato il Rapporto 2012 nell’ambito del workshop “Cultura e sviluppo”. Non è la prima presentazione del Rapporto, anzi forse sarà una delle ultime di quest’anno. La prima fu al Maxxi, a Roma, il 12 giugno scorso: c’erano tensioni sindacali e mentre fuori sventolavano le bandiere delle conferederaioni, all’interno del museo alla presenza del Ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi, il vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello, il presidente di Rai Cinema Franco Scaglia, il direttore del Sole 24 ore Roberto Napoletano (il rapporto è edito dal Sole24ore, venivano snocciolati i numeri della cultura e i dati relativi i consumi, la domanda culturale, il turismo, i finanziamenti del settore.
L’evento di Venezia di ieri si segnala tuttavia perché si è svolto nell’ambito della manifestazione “Venezia 2019 – Salone Europeo della cultura”, che dal 23 al 25 novembre, ha ospitato 4 progetti culturali autonomi, Salone dei Beni e delle Attività culturali e del restauro, Nuove tecnologie Digitali per la Cultura, Open Design Italia e Restauri Aperti, tutti accomunati da un unico filo conduttore “Venezia#Berlin”, un raffronto con la capitale tedesca, esempio di innovazione culturale.
Il Rapporto 2012 è comunque sempre più attuale, nei giorni in cui si vara la legge di stabilità, anche perché ha un sottotitolo molto indicativo: “Cultura e sviluppo. La scelta per salvare l’Italia” e sviluppa un concetto molto chiaro: che l’’Italia è a un bivio e che per uscire dalla crisi occorre riaffermare nuovi paradigmi di crescita, centrati sulla vocazione culturale del Paese, su un’economia reale e quindi sul benessere dei cittadini. Il nostro futuro si gioca adesso.
Sarà necessario recuperare valori durevoli come il merito e la creatività, diffondere la conoscenza, rafforzare i principi della convivenza civile e dell’equità. Guarda caso proprio i principi che sono alla base della “mission” che si è data “La Voce della Bellezza”. Serve, insomma, una rivoluzione culturale. In questa prospettiva, e nell’ottica di individuare le scelte decisive per lo sviluppo, dobbiamo aggiornare i temi dell’identità e della competitività, che sono essenziali per valorizzare i beni e le attività culturali, sostenere l’industria creativa, migliorare la qualità della vita nelle nostre città.
Il Rapporto Annuale Federculture 2012, “Cultura e sviluppo. La scelta per salvare l’Italia” (già edito dalla casa editrice 24 Ore Cultura, pag. 272, 29 euro) ci dice che nel 2011 hanno speso per ricreazione e cultura 70,9 miliardi di euro, impegnando in questo settore il 7,4% della loro spesa annua complessiva. Un valore, negli ultimi anni, costantemente in crescita, anche nel più recente periodo di congiuntura negativa e di generale contrazione dei consumi: tra il 2008 e il 2011 l’incremento è stato del 7,2%, mentre nel 2011 ha segnato un +2,6% rispetto all’anno precedente. Nell’arco dell’ultimo decennio (2001-2011) invece, la spesa per ricreazione e cultura è aumentata del 26,3%. In questo settore le famiglie italiane sono disposte a spendere più che in altri: nel 2011, infatti, la spesa per vestiario e calzature è cresciuta dell’1,3%, quella per gli alimentari dell’1,2%.
Tuttavia è sempre più calante la spesa dei comuni per la cultura. L’indagine su un campione di 15 Comuni (tra cui Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino) dimostra come tra il 2008 e il 2011 la spesa culturale delle amministrazioni comunali, in particolare per la parte relativa agli investimenti, sia diminuita mediamente del 35%. L’incidenza della voce cultura sui bilancio comunali, nelle amministrazioni considerate, scende al 2,6%. Proiettando questi valori sul totale della spesa in cultura dei Comuni (circa 2,3 miliardi di euro fino al 2009) si può parlare di una perdita per il settore di circa 500 milioni di euro.
Sul fronte dei privati le sponsorizzazioni, verso tutti i settori, negli ultimi tre anni sono andate progressivamente diminuendo. Dal 2008 si registra un calo del 25,8%. Per il 2012 si prevede un’ulteriore contrazione del 5%.
Ma ben più penalizzate sono le sponsorizzazioni destinate alla cultura che nel 2011 sono state pari a 166 milioni di euro, l’8,3% in meno rispetto al 2010, mentre dal 2008 al 2011 hanno subito un crollo del 38,3%. Una drastica discesa dovuta non solo per la minore disponibilità economica delle imprese, ma anche allo scenario di incertezza e al calo dell’intervento pubblico che scoraggia l’impegno dei privati.
Pessimismo, dunque su tutta la linea? No, perché la cultura, nell’ampia accezione di arte, paesaggio, tradizione, beni culturali, è ancora uno straordinario brand, un patrimonio di visibilità, di reputazione nel mondo, molto forte nell’immaginario internazionale.
L’Italia, infatti, anche nel 2011 è al primo posto nella classifica del Country Brand Index per l’attrattività legata alla cultura.
Dove difettiamo ancora è nella capacità generale di attrazione dell’immagine-paese: qui siamo solo decimi, pur in risalita di due posizioni, nella classifica generale.
La nostra capacità di creare valore a partire dalla cultura è, però, ancora evidente nell’ambito dell’industria culturale. Stando ai più recenti dati UNCTAD (United Nation Conference on Trade and Development), nel 2010 il valore dell’export italiano di beni creativi è stato di oltre 23 miliardi di dollari, in crescita dell’11,3% rispetto al 2009. In questo settore abbiamo ancora quote di mercato significative: 17% dell’export europeo ed il 6% di quello mondiale.
L’Italia mantiene una posizione di leadership: siamo il 4° paese al mondo per esportazioni di beni creativi, mentre in particolare per il design siamo 1° paese esportatore tra le economie del G8.
Bruno Cossàr
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